Le Fake News non sono certo una novità degli ultimi tempi, esistono da molto prima dei social network, degli smartphone e di Internet.
Bufale, disinformazione, propaganda e post-verità (i termini sono moderni ma i concetti che rappresentano non lo sono affatto) sono sempre state utlizzate da determinati soggetti per convincere altri soggetti a dire o fare cose: votare Tizio al posto di Caio, odiare una particolare etnia, acquistare un determinato prodotto, ecc.
Dunque, il motivo per il quale negli ultimi tempi si parla sempre più di questo problema non risiede nel concetto di Fake News in sé, ma nella enorme diffusione che tale fenomeno sta avendo e nei danni reali che sta portando nella società.
In effetti, fino a qualche decina di anni fa, la propaganda era appannaggio di pochissimi soggetti che dovevano disporre di enormi risorse per ottenere risultati apprezzabili per i propri scopi. Questo limite rendeva l’individuazione di tali soggetti piuttosto semplice e permetteva di applicare una sorta di filtro alle informazioni che essi divulgavano.
Il ruolo della stampa (o del giornalismo in generale) era appunto quello di verificare e bilanciare questi flussi di informazioni contrapponendo ed esponendo diversi modi di pensare, diverse ideologie politiche, ecc.
Con l’enorme diffusione di Internet, del Web e dei social network, tuttavia, questo equilibrio è stato alterato.
La riduzione dei costi necessari a produrre contenuti sul Web, ha fatto sì che chiunque sia ormai in grado di portare online veri e propri network di stiti di disinformazione con poche centinaia di euro.
Al tempo stesso, la stampa specializzata (sopratutto quella online) sta suo malgrado intraprendendo un processo di perdita di credibilità dovuto principalmente ad uno scarso impegno nella verifica delle fonti ed una eccessiva corsa al clickbait.
Già, perché proprio il clickbait è anche l’obiettivo principale dei siti che pubblicano Fake News. Il loro scopo è avere il maggior numero possibile di click, di visualizzazioni, di condivisioni, di retweet, con il fine ultimo di guadagnare!
Tutte le volte che una nostra emozione (rabbia, indignazione, gioia o compassione) ci spingono a condividere quella notizia un po’ strana ma quasi credibile e che poi si rivela una bufala o un titolo ad effetto senza un effettivo fondamento, c’è qualcuno che guadagna denaro, giocando sulla nostra buona fede.
Poco male, penserete voi, ho solo regalato qualche centesimo ad un Tizio che non conosco.
Non è così semplice.
Quanti amici avete su Facebook? Quanti followers su Twitter?
A pensarci bene, condividendo una Fake News, abbiamo contribuito a diffonderla, potenzialmente, a centinaia di persone che, leggendo il titolo ad effetto e il nostro nome, in più della metà dei casi ricondivideranno immediatamente la notizia dal momento che, statisticamente, il 59% delle notizie vengono condivise senza essere lette. La cosa diventa poi ancora più preoccupante se si pensa che da un recente studio del Censis, risulta che il 35% degli Italiani si informa solo su Facebook.
Nei casi più estremi, questo fenomeno di diffusione incontrollata di informazioni false ha avuto pesanti ripercussioni nel mondo reale. Pensiamo, ad esempio, allo scandalo Pizzagate che si è manifestato nella figura di un uomo armato di fucile in un ristorante, o alle fortissime preoccupazioni suscitate in vista delle elezioni francesi (e sulle avvenute elezioni americane).
E’ anche per motivi del genere che negli ultimi mesi sono stati tirati in causa organi politici e giganti del Web i quali hanno tentato di rispondere al problema nei modi più disparati (vedi link di approfondimento a fine articolo), ma la verità è che siamo noi i primi a dover essere consci delle conseguenze delle nostre azioni.
Nei nostri click c’è un potere molto maggiore di quel che pensiamo ed è per questo che dobbiamo evolverci di pari passo con le tecnologie che utilizziamo. Dobbiamo imparare a distinguere tra le vere notizie e quelle che invece sono scritte ad hoc per suscitare una nostra reazione impulsiva e per trarne un vantaggio. In questo modo riusciremo a scegliere in maniera consapevole cosa condividere.
La cosa più importante e non agire sull’onda delle emozioni ma leggere con attenzione una notizia prima di condividerla ai nostri amici.
Mi rendo conto che non sia cosa semplice verificare una fonte, ma se siamo in dubbio, possiamo provare a fare riferimento a qualche esperto del settore (debunker) come David Puente, Paolo Attivissimo o il portale Bufale.net.
Infine, vorrei lasciarvi a questo interessante intervento di Daniele Virgillito:
Approfondimenti
- Fake News: perché ora? La “Consumerizzazione della Propaganda”…
- I consigli di Facebook sulle fake news: perché sono inutili e dannosi
- #Bastabufale a Montecitorio ieri: tavoli di lavoro per contrastare i danni da disinformazione
- Facebook purges tens of thousands of fake accounts to combat spam ring
- Facebook cambia e prova a farti uscire dalla tua bolla di notizie
- L’accusa di Facebook: la politica usa la piattaforma per fare propaganda
- Google acts against fake news on search engine
- YouTube will fight fake news by offering workshops to teens